L’Affiche Rouge

Gianni Sartorio
Presidente International Help onlus

Nella Francia occupata dai tedeschi, fra il giugno ’42 e il novembre ’43 operarono i FTP-MOI (Franchi Tiratori Partigiani — Mano d’Opera Immigrata). Erano associati ai FTP fondati dal Partito Comunista. Un gruppo di sessantacinque resistenti, tra combattenti e fiancheggiatori, prevalentemente privi della nazionalità francese. Il loro fondatore fu Boris Horban, ebreo russo. Nome vero Bruhan. Riunì rumeni, ebrei polacchi, italiani, armeni.

Nel settembre del ’43 fu sostituito al comando da Missak Manuchian, armeno. Aveva perso il padre durante il genocidio del 1915. Emigrato in Francia, falegname per vivere, poeta per passione, s’iscrisse al PCF. Sotto la sua guida il gruppo fu attivissimo. In quel periodo compirono 229 azioni. Di esse la più spettacolare fu l’uccisione, nell’elegante XVI° arrondissement, del generale delle SS Ritter, responsabile della deportazione in Germania di mezzo milione di francesi.

La Gestapo e la polizia di Vichy spesero tutte le loro energie per fermarli. Nell’autunno ’43 la banda fu sgominata grazie a un traditore e i suoi membri catturati e giustiziati nel febbraio ’44.

Per annunciare la fine del gruppo, i nazisti fecero affiggere 15mila manifesti di colore rosso, l’Affiche Rouge, appunto, con i ritratti di otto partigiani, tra i quali Manuchian e con sei foto di attentati da loro compiuti. Il colore voleva sottolineare la sete di sangue dei “criminali”. Il testo affermava: “Des liberateurs? La liberation par l’Armée du crime”.

In realtà il manifesto costituì un’autorete per gli occupanti. Crebbe nella popolazione lo sdegno e proprio in quel periodo aumentarono in misura esponenziale le adesioni alla Resistenza.

Horban, che aveva temporaneamente lasciato la Francia, tornò e giustiziò il traditore. Poi emigrò in Romania. Ritornò ancora nel 1994 per ricevere la Legion d’Honneur dalle mani di Mitterrand in occasione della denominazione di una via al gruppo, Rue du Groupe Manuchian, nel XX° arrondissement.

Aragon nel ’55 dedicò un poema ai partigiani dell’Affiche.

Léo Ferré traspose il testo in una canzone nel 1959.