Paolo Bertinetti
Professore emerito Università di Torino
Già Preside della Facoltà di Lingue.
J.G. Ballard era convinto che la fantascienza fosse la forma più adatta per parlare del presente. Ma non la vecchia fantascienza, che immaginava un futuro con le navicelle spaziali (che già c’erano), bensì una nuova fantascienza, che doveva tendere verso lo spazio psicologico, verso uno “spazio interno” simile a quello che si ritrova nei racconti di Kafka e nei migliori film noir.
Ballard individuò la (quasi) apocalisse nei possibili sviluppi demenziali della realtà quotidiana. Esemplare, a questo proposito, è il suo romanzo più noto, Crash, che costituisce un’inquietante e allucinata allegoria della “società dell’automobile”, in cui l’auto è oggetto di amore e di morte e in cui le superstrade sono un campo di battaglia di auto lanciate a folle velocità. Ballard è un autore che affida alla negatività (come sarebbe piaciuto ad Adorno) il sogno di un mondo in cui le cose stiano altrimenti. Forse però, paradossalmente, il romanzo più bello di Ballard è L’impero del sole, che è scritto, con l’eccezione della “visione” che c’è nel finale dell’atomica su Nagasaki, con un taglio pienamente realistico e che ricostruisce l’esperienza della sua infanzia in un campo di concentramento di Lunghua nella Shangai occupata dalle truppe giapponesi durante la guerra. I meccanismi psicologici del bambino, tra timore e ammirazione per il nemico, tanto feroce quanto efficiente, la dimensione “avventurosa” in quella condizione di prigionia, la distanza tra la sua esperienza e quella degli adulti, sono resi con una profondità di analisi affascinante e in una prosa di gradevolissima leggibilità. In quella specie di prigione, ricorda Ballard, “trovai la libertà”. Molta di più di quanto non ce ne sia nei grappoli di condomini a trenta piani e nei giganteschi shopping centres che fanno da sfondo ad alcuni dei suoi romanzi più inquietanti, come Il condominio e Regno a venire. Il libro è pubblicato nell’Universale economica di Feltrinelli.