Storie di cavalli e altro

Storie di cavalli e altro

Mino Rosso
Poeta

No, ecco, i miei cavalli non hanno niente a che vedere con quelli di Hank1. Che è pure uno sporcaccione. Beh, io non sono mai stato all’ippodromo per giocarci su. Eppure con i cavalli, o i loro parenti, io sempre avuto a che farci. Già bambino. Sì, perché mia mamma mi raccontava sempre, per farmi addormentare, la storia di “Contatore”. Che era un asino. Ma non importa. La storia era questa: Suo nonno (voglio dire di mia mamma) faceva il panettiere a Loreo2 e, come tutti i panettieri, lavorava la notte per consegnare il pane fresco al mattino. Il paese era allora molto piccolo e per la consegna nei negozi dei paesi vicini bisognava fare un lungo giro. Già, così il nonno finito il lavoro non andava a dormire ma partiva con il suo carro per le consegne. Beh, non era una vita molta comoda. Per fortuna il suo asino aveva imparato a memoria tutto il percorso per i vari negozi e così ci arrivava da solo mentre il nonno dormiva sul carro. Dormiva sino a quando Contatore si fermava e con un raglio lo avvisava che si era arrivati davanti al negozio per la consegna. Beh, a me questa storia è sempre piaciuta. Come l’idea che quell’asino sia stato chiamato Contatore. Vabbè. Ma i cavalli (quelli veri, non come lui che era solo un parente) ho dovuto presto conoscerli a Gassino3. Uno era quello di un vecchio e bravo contadino che aveva trasportato mia mamma, ingessata dalla testa ai piedi per via delle ossa che sbriciolavano, all’Ospedale del Pedaggio4su un carro che io ricordo con quattro ruote e che, di sicuro, serviva per trasportare il letame. Sì, lo ricordo a naso. Beh, una Croce Rossa impropria ma quanto mai importante in quei giorni. Mah, ci si abitua a tutto. Finiti gli anni di vacanza per la guerra a Gassino ecco il rientro in città a Porta Pila5. Beh, anche qui i cavalli. Quelli da tiro. Pesanti, lenti con le zampe dalle frange agli zoccoli. Quelli che con gli zoccoli che facevano le splùe6 sulle grosse pietre rettangolari disposte a binario nel ciottolato delle strette vie del centro ferito dai bombardamenti. Erano bravi. I cavalli. E anche pazienti. Trainavano il carretto del ghiaccio. E aspettavano che il giassé7 consegnasse i pani di ghiaccio. Lunghi quasi un metro se li caricava in spalla portava a quei fortunati che avevano la ghiaccia. Tra il pano e la spalla il fodaȓèt8 con sopra un sacco di iuta per non farlo scivolare. Io poi, questo lo ricordo bene, andavo a raccogliere le briciole, voglio dire i pezzetti di ghiaccio, che restavano sul carro. Con un po’di limone e di zucchero (quando lo si aveva perché si era ricchi in quel momento) si poteva fare il gelato. La ghiacciaia, già. Di solito un brutto mobile in legno dalla linea squadrata. Comunque roba da ricchi. Boh, pazienza. Noi avevamo la moschiera9. L’avevamo appesa nella stanza più fredda dell’alloggio. Il corridoio d’ingresso. Però questi cavalli erano proprio anche di buon cuore. E di intestino non certamente pigro. Ma era proprio per queste loro qualità che ci regalavano la busa10. Detto così può sembrare cosa di cattivo gusto. Non lo era. Appena il regalo veniva depositato ci si precipitava con paletta (di latta) e scopino (di saggina) per raccoglierlo. Beh, bisognava pur avere cura per quel pezzetto di terra in un vaso dove ostinati crescevano quattro rossi gerani, uniche note colorate in una vita ancora grigia. E io cavalli? Beh, alcuni li aveva persino assunti la Gondrand11 per i trasporti in città. Mah. Poi sono diventato grande. Beh, è successo anche a me. E per mestiere ho dovuto interessarmi delle scuderie. E anche dei cavalli da corsa. Animali bislacchi dal pessimo carattere di un mondo infinitamente distante da quello di Contatore e degli altri operari addetti al trasporto. Così bravi, questi ultimi, da finire la loro vita nei nostri piatti (se si avevano i saldi) come bistecche. Già, nel dopoguerra a Porta Palazzo c’erano diverse macellerie che vendevano la loro carne che, finalmente (sì, finalmente) sostituiva il vino bianco con i chiodi lasciati a bagno per settimane. Un improbabile ricostituente, dal pessimo gusto, contro l’anemia (diagnosticata dalla pallida faccia) per il ragazzino Vittorioso e Intrepido12.

1 Hank – Charles Bukowsky (1920-1994), poeta e scrittore statunitense autore, tra l’altro, di Taccuino di un vecchio sporcaccione.

2 Loreo – Paese del Polesine in provincia di Rovigo.

3 Gassino – (Torinese – Gasso [Gasu] in piemontese) è un comune della città metropolitana di Torino. 

4 Ospedale del Pedaggio – Negli anni ’40 si trovava nei pressi di villa Bria (o in un’ala della stessa) lungo la strada Gassino – Sciolze.

5 Pòrta Pila – gergale per nominare il mercato più famoso di Torino e più grande d’Europa: Porta Palazzo. Pòrta Pila deriva dal gioco della pila (testa-croce), gioco che veniva praticato con gli antichi dobloni dopo il mercato. 

6 Splùa – piemontese – scintilla.

7 Giassé – piemontese – venditore di ghiaccio.

8 Fodaȓèt – piemontese – che è il grembiule di cuoio.

9 Moschiera – (detta anche moscaiola) Piccolo mobile in legno costituito da una intelaiatura con ripiani e dalle pareti con rete metallica a maglie strette. Era utilizzata per difendere gli alimentari dalle mosche. Di fatto era anche una sorta di “frigo” per mettere il cibo al “fresco”. Per questo motivo veniva appesa al soffitto della stanza più fresca.

10 Busa – piemontese – escremento animale, stallatico.

11 Gondrand – gruppo spedizioniere a livello mondiale fondato a Milano nel 1866 e ancora oggi è operante.

12 Vittorioso e Intrepido – settimanali per ragazzi del dopoguerra.