Alle radici dell’antigiudaismo cristiano
Giovanni Filoramo
Professore emerito di Storia del cristianesimo
Università di Torino
1. Una precisazione terminologica: perché dal punto di vista storico, nel caso del cristianesimo antico e delle origini di cui mi occuperò, è preferibile parlare di antigiudaismo e non di antisemitismo. Quest’ultimo è un termine moderno che si riferisce, in senso stretto, a una ideologia razzista diffusasi in Francia e Germania negli ultimi decenni del XIX secolo, in base alla quale i Giudei, in quanto semiti, rappresenterebbero una razza particolare, in grado di mettere in pericolo la cultura e la vita dell’Europa.
“Antigiudaismo” è un termine più antico, che si radica nella polemica contro i giudei portata avanti da autori cristiani a partire grosso modo dalla metà del II secolo e che ha trovato un luogo classico di espressione in una serie di trattati Adversos judaeos, di cui il primo risale a Tertulliano ed è stato redatto alla fine del II secolo ev. Esso ha una base essenzialmente teologica e religiosa, e non ha a che fare con teorie razziste, ignote al mondo antico.
2. La teoria della sostituzione: anche se l’antigiudaismo del Nuovo Testamento ha dei precedenti in una diffusa giudeofobia presente nel mondo ellenistico-romano in cui l’annuncio cristiano si è diffuso, quel che ora deve interessarci è la sua peculiarità. Dal punto di vista ideologico, la radice dell’antigiudaismo cristiano è la teoria della sostituzione. Essa è stata elaborata a partire dalla metà del II secolo e, attraverso correzioni e adattamenti, è rimasta patrimonio dottrinale delle chiese cristiane fino al XX secolo. Essa può essere riassunta in questi termini:
Il cristianesimo porta a compimento le promesse fatte da Dio agli ebrei nell’Antica Alleanza. La religione ebraica – l’ebraismo – enfatizzava la fedele adesione alla legge (Torah) come modo di vita, ma, col passare del tempo, venne guastata dal legalismo, esemplificato dai farisei. Il modo di amare di Gesù, in contrasto con la legge degli ebrei, minacciava le autorità giudaiche. Sebbene tecnicamente sia stato il governatore romano della Giudea, Ponzio Pilato, ad autorizzare la crocifissione, furono gli ebrei a insistere perché Gesù fosse messo a morte. Benché il Nuovo Testamento rappresenti Gesù come un ebreo di Nazaret, in Galilea, la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste, cinquanta giorni dopo la sua morte e resurrezione, significò la nascita del cristianesimo. Per questo, quando pensiamo alla prima generazione di discepoli di Gesù – compresi Pietro, Giacomo e Maria Maddalena – pensiamo a loro come a cristiani e a membri originari della Chiesa, ormai distinta dalla Sinagoga. L’apostolo Paolo, convertito dall’ebraismo, aiutò a diffondere, in tutta la regione mediterranea, il cristianesimo, che si affermò rapidamente mentre l’ebraismo declinava
Questa visione teologica non è storicamente fondata. Lo si vedrà meglio proseguendo, ma sin d’ora si può sottolineare l’implausibilità storica di alcuni punti:
– la visione di Israele è errata: ad esempio, Gesù, da pio ebreo, se rispetta la legge, dalla tradizione dei padri deriva il comandamento dell’amore
– il responsabile della morte di Gesù è il governatore romano
– con la pentecoste non si forma nessuna chiesa istituzionale
– Paolo non diffonde il cristianesimo che non esiste ancora
La teoria della sostituzione, in conclusione, è un costrutto teologico privo di fondamento storico.
3. Il problema delle origini del cristianesimo: l’elaborazione di una teoria dell’antigiudaismo presuppone che ormai il cristianesimo si sia staccato dalla sua matrice giudaica e si sia costruito come una religione a sé, di cui l’antigiudaismo costituisce un fattore identitario essenziale. Ma quando è avvenuto veramente ciò? Oggi le ipotesi variano notevolmente: dalla metà del II secolo alla svolta costantiniana. Anche se personalmente propendo per la prima ipotesi, una cosa è evidente: non solo Gesù e i suoi discepoli, ma anche i suoi seguaci delle prime generazioni sono rimasti giudei. Anche se già con Paolo inizia una missione ai gentili e si pone il problema di convertirsi o meno al giudaismo per poter essere seguaci del Cristo, le polemiche contro i giudei che si trovano nel NT non sono polemiche di ‘cristiani’, che non esistono ancora, contro giudei, ma tipiche polemiche intragiudaiche.
Detto in altri termini: il movimento di Gesù è un movimento interamente giudaico. Il cristianesimo inizia come un movimento di riforma giudaico; i conflitti formativi sono con il giudaismo del tempo. Gesù, oltre che un rabbi, è anche un profeta che parla come un profeta: l’intensità delle sue accuse, per esempio contro i farisei, si spiega bene col desiderio che il suo popolo si penta.
4. Quadro storico: il movimento di Gesù fa parte di un mondo giudaico molto vario e dinamico. Il giudaismo rabbinico, così come noi lo conosciamo, è di là da venire: la sua storia corre parallela alla formazione del cristianesimo come religione.
Il giudaismo palestinese del tempo di Gesù vive in un quadro politico particolare. Dal 6 della nostra era la Palestina era diventata una provincia romana, che faceva parte della Syria. La governava un procuratore, come poi sarà Ponzio Pilato. Vari gruppi presenti. Uno di questi è costituito dai seguaci di un rabbi e profeta, Gesù.
5. Le fonti: il Nuovo Testamento: i testi del Nuovo Testamento sono disseminati di affermazioni polemiche e violente nei confronti di gruppi ebraici. Queste affermazioni vanno storicamente contestualizzate. Dato il valore canonico che questi testi hanno poi assunto, esse sono ben presto state rilette in prospettiva antigiudaica. Per secoli – per non portare che un esempio – questi passi sono stati letti e commentati nel ciclo liturgico cristiano. Soltanto con il Concilio Vaticano II e la dichiarazione Nostra Aetate si è posto fine a questo uso antigiudaico
6. Gli esempi più significativi di antigiudaismo presenti nel Nuovo Testamento sono certi testi di Paolo come I Tessalonicesi 2, 14-16: « Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Gesù Cristo, che sono nella Giudea, perché avete sofferto anche voi da parte dei vostri connazionali come loro da parte dei Giudei, i quali hanno perfino messo a morte il Signore Gesù e i profeti e hanno perseguitato anche noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano la misura dei loro peccati! Ma ormai l’ira è arrivata al colmo sul loro capo. » e le accuse di deicidio (Matteo 27, 22-23) oltre a un passo del Vangelo di Giovanni 8, 30-47, in cui, nella sua polemica contro i giudei, Gesù li accusa di essere “figli del diavolo”.
Questi passi vanno adeguatamente contestualizzati, tenendo presente le vicende del movimento dei seguaci di Gesù nel periodo in cui questi testi sono stati composti cioè grosso modo dalla metà del I secolo agli inizi del II. In questo periodo la data decisiva è il 70, con la guerra giudaica e la distruzione del Tempio che ne seguì. Mentre Paolo scrive prima di questo evento, i vangeli canonici sono tutti redatti successivamente.
Mentre le lettere considerate autentiche di Paolo sono documenti che riflettono il pensiero in divenire del loro autore e sono condizionate dal rapporto con le differenti comunità a cui si rivolge, i vangeli sono scritti che riflettono la particolare rilettura delle vicende di Gesù che differenti comunità hanno operato. Mentre nel primo caso i conflitti sono tipicamente intragiudaici – tanto che diventa difficile usare in questo caso il termine ‘antigiudaico’ – nel secondo caso siamo in una tipica fase di separazione delle vie: le comunità dei seguaci del Cristo, che cominciano a essere definiti ‘cristiani’, sono comunità miste in cerca di una propria identità, alternativa a quella ebraica d’origine, che non può funzionare per il numero crescente di gentili che ne fanno parte. Fu tra gli anni Settanta e i primi anni del II secolo che la rivalità tra gli altri gruppi ebraici e i Seguaci della Via (ormai diventati un gruppo misto di ebrei e gentili) andò aumentando. Discutevano su quale fosse il cammino più fedele a Dio: quello della Torah o quello di Gesù? Dal momento che questa fu anche la cornice temporale in cui vennero composti i quattro Vangeli, alcune delle tensioni legate a simili dibattiti trovano riflesso in brani evangelici quali la diatriba contro i farisei in Matteo 23 o la frequente identificazione degli “ebrei” come principali oppositori di Gesù nel Vangelo di Giovanni. In altri termini, gli autori dei Vangeli inserirono le dispute del tempo nel proprio resoconto del ministero di Gesù; in questo modo, le controversie del tardo I secolo e degli inizi del II secolo finirono con l’entrare nelle ricostruzioni di ciò che Gesù aveva detto e fatto. L’acceso linguaggio di questi testi riflette le convenzioni retoriche tipiche dell’antichità, in cui la denigrazione dell’altro era una forma d’arte. Ciò che le successive generazioni non riuscirono a comprendere, in ogni caso, è che si trattava di contrasti intra-familiari, non di controversie tra “cristiani” contrapposti a “ebrei”.
Porto solo un esempio. Nel racconto postrisurrezionale di Giovanni si dice: «Quando giunse la sera di quel giorno, il primo della settimana e le porte della casa dove si trovavano i discepoli erano chiuse per paura degli ebrei, Gesù venne e stette in mezzo a loro e disse: “La pace sia con voi”» (Giovanni 20,19). Ora, i discepoli erano tutti ebrei: come facevano ad avere paura degli ebrei? qui si tratta di una tipica rilettura del redattore, che riflette un periodo diverso di conflitti e il suo peculiare antigiudaismo.