La Direttiva europea 2014/65/UE e la tutela degli investitori

La Direttiva europea 2014/65/UE e la tutela degli investitori

Fabio Salsa
Consulente finanziario

Il prezzo è quello che paghi. Il valore è quello che ottieni

Warren Buffett

La nuova direttiva europea che disciplina i mercati degli strumenti finanziari (Direttiva 2014/65/UE), nota come MiFID II, dall’acronimo inglese di Markets in Financial Instruments Directive, entrata in vigore Il 3 gennaio 2018, ha introdotto numerose e importanti novità nel mondo normativo dell’industria della finanza a tutela dell’investitore.

Mi concentrerò in particolare sulle novità che regolano la consulenza finanziaria tralasciando quelle riguardanti i mercati sebbene anche queste siano particolarmente importanti: per sintesi e spero per maggior chiarezza ho individuato quattro elementi di particolare interesse sui quali porre la nostra attenzione.

LA CONSULENZA FINANZIARIA E I POTENZIALI CONFLITTI DI INTERESSE

Il legislatore europeo ha finalmente deciso di regolamentare il potenziale conflitto di interessi rappresentato dalla presenza di accordi di retrocessione delle commissioni di uno strumento finanziario, come ad esempio i fondi di investimento, fra il soggetto produttore dello strumento (società di gestione del risparmio) e il soggetto distributore/collocatore dello strumento finanziario stesso, cioè la banca.

Il diritto del soggetto che colloca il fondo di avere retrocessa a suo favore una parte delle commissioni di gestione è stato disciplinato prevedendo due modalità ben distinte di svolgimento della consulenza finanziaria.

La prima modalità, definita come consulenza indipendente, più diffusa in paesi come Inghilterra, Svezia, Danimarca, prevede che il cliente debba pagare come corrispettivo del servizio ricevuto il solo costo della commissione di consulenza direttamente alla società che lo eroga, la banca.

In questa modalità al cliente non possono essere attribuiti i costi dei prodotti utilizzati, ad esempio rappresentati dalle commissioni di gestione dei fondi, poiché sostiene già il costo del servizio di consulenza.

Nella seconda modalità, definita come consulenza base, che è quella prevalente in Italia, Francia e Germania, il cliente non paga una commissione di consulenza ma sostiene interamente il costo del prodotto o dello strumento finanziario utilizzato, parte di questo costo verrà retrocesso alla società che eroga la consulenza.

Occorre dunque molta attenzione da parte dell’investitore nel verificare che in ragione della tipologia di consulenza scelta con la propria banca i due costi, della consulenza e del prodotto, non si vadano a sommare poiché la normativa esclude questa ipotesi proprio a tutela dell’investitore.

Invito dunque il lettore a riflettere su quale tipo di consulenza ha acquistato dalla sua banca e se rappresenta quella che a lui corrisponde meglio.

PRINCIPIO DI ADEGUATEZZA

Il principio di adeguatezza è il secondo importante elemento di cambiamento introdotto dalla normativa MiFID II e costituisce il principio che deve guidare gli intermediari nel raccomandare strumenti finanziari adeguati al cliente in relazione ad una serie di parametri che ne definiscono in sintesi il cosiddetto profilo finanziario.

La normativa prevede cioè un obbligo di controllo per il quale la banca deve verificare l’adeguatezza del prodotto finanziario proposto al cliente in termini di rischio/rendimento, non soltanto riguardo il singolo strumento ma riguardo l’intero portafoglio del cliente.

La corretta valutazione dell’adeguatezza degli investimenti ha richiesto una revisione dei questionari di profilazione del cliente, una revisione cioè di quelle interviste al cliente che ne definiscono, in base alle risposte, un profilo finanziario in ordine agli obiettivi del cliente, al suo orizzonte temporale, alla sua propensione al rischio e alle sue aspettative di rendimento.

La nuova normativa ha imposto una valutazione obbligatoria periodica della tolleranza al rischio dell’investitore, della sua capacità di sostenere perdite, delle sue conoscenze ed esperienze in materia di investimenti finanziari.

Invito dunque il lettore a ricordare se e con quale frequenza ha condiviso con il suo consulente finanziario il suo profilo, se ha cioè consapevolmente dichiarato tutto quanto è richiesto alla banca conoscere per svolgere una corretta attività di consulenza.

PRINCIPIO DI IDONEITA’

Per il principio di idoneità gli intermediari finanziari hanno obbligo di garantire che il personale addetto alla consulenza abbia le necessarie competenze per prestare questo servizio e che queste competenze siano certificate da un percorso di formazione periodico e obbligatorio con requisiti standard per tutto il settore.

Questo obbligo si concretizza da parte della banca con una attività di formazione a frequenza annuale che si conclude con un esame di idoneità, cosiddetta certificazione Mifid, che abilita il consulente e rende conforme la sua attività alla normativa.

Invito dunque il lettore a scoprire del proprio consulente finanziario le certificazioni di competenze e le iscrizioni agli albi professionali che lo qualificano e lo abilitano all’attività di consulenza (ad esempio da un profilo pubblico, dal sito di vigilanza e tenuta dell’albo dei consulenti finanziari www.organismocf.it, da un profilo Linkedin).

OBBLIGO DI TRASPARENZA SUI COSTI

Il quarto elemento di grande interesse introdotto dalla normativa MiFID II è rappresentato dall’obbligo di trasparenza sui costi dei prodotti e dei servizi finanziari: la normativa europea impone che tutti i costi vadano rendicontati nel dettaglio al cliente distinguendo tra costi del servizio, costi associati al prodotto e commissioni di retrocessione.

La rendicontazione deve esplicitare sia in termini percentuali che in valore assoluto, secondo uno standard preciso, tutti i costi sia in una fase informativa ex-ante l’operazione da valutare (informativa una tantum) sia in una fase ex-post che invece è periodica e con frequenza obbligatoria annuale (cosiddetto report dei costi).

Ex ante il cliente deve ricevere l’informazione se la consulenza viene effettuata su base indipendente o meno e deve ricevere una serie di informazioni sugli strumenti che comprendono le strategie di investimento proposte e le avvertenze sui rischi ad esse associati.

L’informativa ex-post, il cosiddetto report costi, con cadenza almeno annuale, dovrà fornire dettaglio dei costi sostenuti relativamente ai singoli prodotti e al portafoglio complessivo.

Oltre al report dei costi è previsto l’invio al cliente, almeno su base trimestrale, di una comunicazione che includa il dettaglio degli strumenti d’investimento.

Invito dunque il lettore a recuperare e a rileggere l’ultimo report costi ricevuto dalla propria banca, potrebbe scoprire cose certamente interessanti, forse addirittura sorprendenti.