Ibsen, il poeta del diavolo
Roberto Alonge
Già professore di Storia del Teatro e Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino
Del norvegese Henrik Ibsen, il maggiore drammaturgo dell’Ottocento quasi tutti conoscono Una casa di bambola, dramma giustamente sempre esaltato dalle femministe: una donna trattata come una bambolina, prende coscienza di sé e pianta il marito e i tre figli, pur non avendo un mestiere (né tantomeno un altro uomo cui appoggiarsi), e va nella vita, per ritrovare la propria dignità. Epperò quasi nessuno sa che ha scritto anche Il costruttore Solness, dove una sera, in casa di un maturo sposato professionista del mattone, arriva una giovane di ventidue-ventitré anni che gli chiede conto di cosa avvenne esattamente dieci anni prima, stesso mese, stesso giorno, persino stessa ora vespertina. Lui non ricorda, ma lei rievoca: “Lei mi prese con entrambe le braccia e mi piegò all’indietro e mi baciò. Molte volte”. Solness nega, ha rimosso, perché dieci anni prima la giovane era una bambina di dodici-tredici anni, ma ha il coraggio di un’ammissione terribile: “Io devo aver pensato tutto questo. Io devo averlo voluto. L’ho desiderato. Ne ho avuto voglia. E allora – Non potrebbe spiegarsi così?”. I corsivi sono una specialità della scrittura ibseniana (solitamente disattesi dai traduttori-traditori), che qui crea una vera gradazione ascendente (dal pensiero alla volontà, e dal desiderio alla voglia bramosa della carne). Normalmente consideriamo l’abuso pedofilo un evento che traumatizza la vittima, ma Hilde è una vittima consenziente; quell’uomo l’ha sedotta, e l’ha affascinata per sempre, sebbene per noi possa essere l’orco. Le promise di venirla a riprendere, ma non è venuto, ed è lei, allo scadere esatto dei dieci anni, che viene a cercare lui, per strapparlo alla moglie e vivere con lui. Naturalmente Ibsen mette a fuoco la trasgressione ma non si spinge sino a farne l’apologia: il costruttore muore in un incidente/suicidio che gli consente di sottrarsi alla tentazione. Quanto basta comunque per dar ragione a Jon Fosse, scrittore norvegese di oggi, secondo cui Ibsen è “il poeta del diavolo”.